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07/05/2017 - Tra i Calanchi di Civita e Lubriano.



Informazioni sull'uscita

Data: 07/05/2017

Difficoltà:

- Difficoltà medio alta
- Presenza salite

Distanza in auto: 190 km (a/r)

Lunghezza percorso a piedi: 7 km

Note:

         

ATTENZIONE - COMUNICATO IMPORTANTE

 

VARIAZIONE DATA USCITA

 

L’escursione nella Valle dei Calanchi prevista per il 21/5/2017 è anticipata a

 

Domenica 7 maggio  2017

Luoghi di visita …

“LE VALLI DEI CALANCHI – TRA LUBRIANO E CIVITA DI BAGNOREGIO”

Partenza ore 8.30 dal parcheggio del Tribunale

Percorrenza auto: Civitavecchia – Lubriano e ritorno Km. complessivi 190 c.a. 

Escursione: Km. 6 c.a.

Caratteristiche: Difficoltà “medio-alta” – SUL PERCORSO SONO PRESENTI UN PAIO DI SALITE IMPEGNATIVE. Utili bacchette e scarpe da trekking. Un guado superabile senza ausilio di stivali!

… dalla ridente e panoramica cittadina di Lubriano, con vista laterale sulla Civita si scende fino a raggiungere il Torrente Chiaro. Si risale il colle fino a raggiungere il crinale per portarsi sullo sperone di tufo del Montaione. Da qui si segue un percorso del tipo a “traversata” fino verso la meta, il Belvedere di Pianale. Si costeggiano i più bei calanchi della Valle fino a raggiungere il punto panoramico, in fondo alla Valle. Sosta pranzo. Si ritorna sul sentiero per tornare alle macchine. Nel pomeriggio si può raggiungere Civita di Bagnoregio, ma ciascuno a titolo personale. Tenendo presente che è previsto un biglietto di accesso di un paio di euro cad., si parcheggia con difficoltà nei pressi di Bagnoregio, dove partono le camminate per raggiungere la Civita.

Vanì, 25-04-2017

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Documenti sul sito

“L’odierna escursione "

Non visitare Civita senza affondarti tra i suoi calanchi … accomunati ad uno stesso destino da una natura parca e capricciosa, precederanno di qualche millennio la sorte del paese!

Un po’ di geologia ….

Più o meno la nostra storia inizia con il neogene ( 2,5 – 23 milioni di anni), quando il sollevamento orogenetico della catena montuosa appenninica comincia a delineare i nostri due mari maggiori, il Tirreno e l’Adriatico. Per giungere ad esaminare gli aspetti geo-morfologici della Civita dobbiamo fare un lungo salto e spostarci con la nostra macchina del tempo molto avanti, fino a raggiungere l’ultima fase del neogene, il pliocene (2,5 - 5,3 milioni di anni fa). In questa Epoca il nostro territorio è occupato da acque meteoriche e paludose. E’ un enorme mare, dal basso fondale, su cui sono deposte sabbie ed argille. Ma il susseguirsi di glaciazioni e l’inizio di una intensa attività vulcanica, del Pleistocene del Quaternario ( 2,5 milioni anni fa – 11.700 anni fa), causata da numerose fratture della crosta terrestre, cominciano a delineare il particolare aspetto del nostro territorio. L’intensa attività dei vulcani del Lazio settentrionale e delle immense caldere attive, in tempi diversi, mettono a “ferro e fuoco” tutto l’Alto Lazio. Rocce laviche e piogge di materiale piroclastico abbozzano gli aspetti montuosi e collinari, colmando gran parte delle depressioni del territorio. Inizia ora l’attività dei corsi d’acqua che, con andamento est-ovest, modellano lentamente l’orogenesi, cui si aggiunge la furia dei venti ed il dilavamento delle piogge meteoriche. Un’enorme quantità di detriti sabbiosi vengono trasportati verso il nascente mar Tirreno.

Il luogo ove sorgerà la Civita é formato da uno strato di 30 - 60 mt. di rocce tufacee poggianti su uno strato profondo di sabbie ed argilla. Frattanto comincia a delinearsi il Colle della città per effetto dell’erosione di due impetuosi torrenti, il Torbido ed il Chiaro. Hanno già fatto precipitare, nei tratti più sottili, lo strato superficiale di tufo, scavando nei sottostanti banchi di sabbia ed argilla. Resta, relativamente stabile, soltanto una piattaforma rocciosa che si staglia in alto per un’altezza di 70 – 100, mentre lungo il suo perimetro si sono formati strapiombi, soggetti a continue disgregazioni.

Storia dei suoi primi abitanti

L’invalicabilità della Civita richiama l’uomo preistorico che qui trova protezione e sicurezza. Nel giro di due o tremila anni giungono gli Etruschi. Ma ben presto si rendono conto dell’instabilità del territorio, i due torrenti erodono troppo velocemente gli strati argillosi perimetrali della città facendo rovinare a valle frammenti di roccia rimasti privi di appoggio.

Vengono regimentate le acque meteoriche e torrentizie attraverso la creazione di appositi collettori e canali, molti alberi sono posti a dimora per assorbire le acque in eccesso e trattenere il terreno ad evitare smottamenti.

La Civita acquista stabilità, si sviluppa attivamente, nella parte più alta è posta l’Acropoli con la sua piazza ed il tempio dedicato alla triade del pantheon Rasenna: “Tinia - Uni – Menrva”.

Le strade sono costruite con sistema ortogonale, nel punto di incontro del decumano maggiore e dal cardo, è posto il “mundus”, particolare pozzo che mette in comunicazione il mondo dei vivi con quello dei morti. Un cippo ricopre questo punto di contatto, per venir tolto nel giorno dei morti e permettere loro di risalire dalla necropoli sottostante e visitare le case dei vivi, secondo la concezione della religione etrusca!

Arrivano i romani…

La romanizzazione in Etruria? Una vera e propria calamità, dopo la conquista ed un periodo transitorio ovunque è abbandono ed isolamento. La cura che il popolo Rasenna dedicava alla sua terra, ai suoi torrenti, alle città ed al suo Pantheon, venuta meno, mostra i suoi limiti, e la nostra Civita paga lo scotto maggiore. Con il tempo, senza la regimentazione dei torrenti e dell’acqua piovana , subisce frane un po’ ovunque. Agli agenti atmosferici si aggiungono periodicamente terremoti.

Oggi la Civita che vediamo è la resultanza ed il frutto di ben due millenni di incuria e trascuratezza, qualcosa poteva esser fatto. Ma allora il ricco patrimonio archeologico italiano non è per la maggior parte alla pari del nostro Paese, abbandonato a se stesso!

I MIEI RICORDI

La prima volta che visitai la Civita e mi affacciai dal Convento di S. Francesco, il colle del Paese aveva le pendici ricoperte dalla nebbia. Il lungo ponte, cordone ombelicale con madre terra, era invisibile ricoperto dalla foschia. Il vento faceva fluttuare, a guisa di onde marine, la bianca coltre schiumosa mentre la Civita imperterrita scarrocciava come una nave in mezzo alla tempesta senza governo priva di equipaggio, nel suo immenso mare, con il suo campanile svettante, quale albero di maestra.

Ma ogni volta che rivedo il paese e soprattutto scendo le sue valli, mi rendo conto che la mia cara “vecchia” subisce continuamente aggressioni e modifiche nella delineazione dei suoi contorni, al pari dei suo Calanchi che lentamente si assottigliano come lame di rasoio, prima di collassare su se stessi e sparire per sempre! E così mi rendo conto che questi miei cari amici stanno invecchiando con me. Mai detto non fu più giusto di “Civita il paese che muore” coniato dal filosofo Bonaventura Tecchi, figlio di questa terra.

Vanì 7-05-2017

 

          


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